mercoledì 26 settembre 2018

Di canzoncine e mentalità

Ebbene sì, sono finalmente e felicemente diventata mamma.
E si sa, ogni mamma deve drogarsi di canzoncine per bimbi fino allo sfinimento. Io ammetto davvero di adorarle!
Ovviamente, sto crescendo il mio mini-uomo bilingue, e non potevano mancare canzoncine in italiano e tedesco. Sono sempre le stesse, cambia solo la lingua: la metrica, il ritmo e il senso son gli stessi, ma... TA-DA! Ho fatto una scoperta.
Tra le tante canzoni in comune con la grande Germania, gli italiani NON hanno "Fuchs, du hast di Gans gestohlen". E io mi sono divertita a ricercare un qualcosa di simile, che si avvicinasse a quella, ma nulla. Proprio nulla! In Italia c'è "Oh che bel castello". E qui viene il bello (si fa per dire).

In "Oh che bel castello" si inneggia ad un fantomatico castello che viene rubato, oltre che bruciato. Mentre al culmine di "Fuchs, du hast di Gans gestohlen" (che sarebbe "Volpe, hai rubato un'oca"), si (e cito letteralmente) "raccomanda la carissima volpe di non essere un ladro"!!
Non aspettavo altro per fare un confronto non tanto musicale, quanto culturale! Non stavo nella pelle!

Gli italiani sono avvezzi al rubacchiamento per cultura: se una canzoncina, che ha i suoi anni, sente l'esigenza di instilare nei futuri adulti l'idea che rubare sia figo perché io quel bel castello prima lo rubo, poi lo brucio e poi ne faccio un altro... che vi ricorda? Amatrice? Il ponte Morandi? O tutta l'intera storia degli appalti truccati, del riciclaggio, dei crolli e delle ricostruzioni ad hoc?
Qui in molti rideranno ben poco, lo so. Ma la cinica che è in me si sta sbelicando, perché per l'Italia non c'è verso di migliorare (Tomasi di Lampedusa docet).
I germanici, belli belli, provano a "ballare fuori dalla riga"*, ma la cantante in stile Cristina  D'Avena germanica esorta l'amica volpe a non fare la furba, a mettersi in riga (vedi nota a pié), rispettare il cacciatore e la sua anatra, ché tanto l'oca non può arrostirsela in compagnia del topolino (niente compagni di merenda per i tedeschi! Ahahah!).

Insegnamento di correttezza e civiltà VS insegnamento a rubacchiare: chi vincerà?
Beh, credo che la storia e la politica degli ultimi 100 anni ci abbiano insegnato a vedere le cose come stanno. E cioè, che gli italiani filano sempre sott'acqua e non arrivano all'uva (piaciuto 'sto gioco di analogie?), mentre la Germania può ancora vantare, a merito o torto, la supremazia economica e diplomatica in Europa.
Ovviamente, non bisogna andare troppo per il meta-testo per capire quanto io tifi per i germanici piuttosto che per gli ital-idioti. Auto-stereotipo? Sì, concedetemelo. E ben vi sta. Tenetevi 'sto paesello, e sì, l'ho scritto minuscolo, ché a far le cose oneste ci vedete solo il marcio. Tanto avvezzi siete alla disonestà e alla corruzione, che proprio le persone oneste, chiare e corrette vi appaiono sporche. Che popolo triste, arrabbiato, chiuso e qualunquista. Che tristezza per le generazioni future...
Forse, l'Italia avrebbe fatto una figura migliore a sprofondare politicamente ed economicamente dopo l'Umanesimo. Come direbbe un italiota? Finire col botto!
Come tutti quei calciatori che, assetati di denaro, vanno a finire gli ultimi anni di carriera in Arabia Saudita o negli USA: per fare ancora soldi, ma non bruciarsi la nomea tra le nuove leve che, forse, sono atleticamente più 'performanti'**.
Bon, finito qui.
Io proporrei, da mamma attenta alla formazione psico-emotiva, culturale e pedagogica del suo mini-uomo, di cambiare le parole di "Oh che bel castello" con valenza negativa, anti-pedagogica in parole positive, come "noi lo tingeremo/abbelliremo [...] e poi lo rifaremo", ché i bambini di oggi hanno bisogno di apprendere un atteggiamento resiliente, creativo, costruttivo, civile e partecipativo.
Buona educazione a tutti!










*Qui è tradotto letteralmente da "aus der Reihe tanzen", in italiano sarebbe "scoperta la legge, trovato l'inganno", traslazione che mi obbliga a scrivere in proposito in un post successivo...!
**e anche su 'sta parolaccia DEVO tornare più avanti... mmmmmmmh, quanto mi sta sulle balle 'sta parola bruttissima!!

martedì 25 settembre 2018

sabato 27 dicembre 2014

"Staje slow" e considerazioni linguistiche.

“Staje slow”. Sono due giorni che ripenso a quest'espressione, con la curiosità di una linguista e con la caparbia determinazione di trovare una qualche spiegazione psico-cognitiva al suo uso in un contesto situazionale che, invece, non mi spiego. Staje, per tutti i campani, e credo in buona parte meridionali d'Italia, è chiaro che stia per “stai/sta', resta”. E qui non ci piove. Slow (si veda il leggendario Collins qui: http://www.collinsdictionary.com/dictionary/english-italian/slow?showCookiePolicy=true) starebbe per lento, in buona parte.
Ora, in un contesto in cui si sta organizzando un evento, la persona che chiede maggiori dettagli, che già per sua natura è una persona organizzata sì, ma niente affatto pedante né ansiosa anzi, rilassata e serena, viene invitata a stare slow. E divago un po': per abitudine, ho sempre avuto la propensione a tranquillizzare le persone usando espressioni, tipo: “stai tranquillo/a” o mi son spesso sentita ripetere: “stai serena”. E fin qui ci sono.
Ma se voglio tornare alla connotazione che slow, nel dettaglio, sta assumendo nel gergo italiano, mi perdo un po'... E questa è solo colpa della psicologia cognitiva. Slow, nel senso di lento, può avere psicologicamente un corrispondente nell'italiano ovvero in quell'immagine di cultura lenta, tranquilla, di chi si prende il proprio tempo e non si lascia dominare dall'orologio.
Dunque, io mi chiedo: se psico-cognitivamente i conti in qualche modo mi tornano, forseventualmente, perché linguisticamente c'è qualcosa che stride da qualche parte? (Si perdoni la ripetizione).
E mi spiego meglio. Perché si sente tanto l'esigenza di attingere ad una lingua straniera, all'inglese in questo caso, per esprimere un concetto che, sintatticamente e semanticamente, potrebbe avere il suo perché all'interno dell'esortazione di cui prima (andate a rileggere quanto sopra, se vi siete appisolati nel frattempo!) ma che, nel contesto culturale dal quale la parola viene preso in prestito, così come sintatticamente usato, non vuol dire gran che a meno di sostituirlo con relaxed, chilled, cool ecc. ecc. Riassumo per i più pigri: se traduco all'indietro “staje slow” in inglese, vien fuori che propongo a qu “to stay slow” (WTF*?!)
Ed arrivo al punto che più amo. La polemica impietosa contro chi vuole far uso di vocaboli attinti a lingue straniere, senza parlarne nemmeno uno straccio e facendo, per di più, delle figure a dir poco infelici (si presti attenzione anche al “todo bueno” per dire “tutto bene” rubacchiato allo spagnolo! Ergo, stateve 'a casa).
Il problema, e detesto anche questa espressione tipica della cultura italiana (affronterò l'argomento più in seguito, se ne avrò voglia), è che usare l'inglese fa figo. Monti era un signor dottorone, e chi lo capiva in tv! Con la sua devolution, il fiscal drag e altre 'ingleserie' del genere piaceva agli italiani stufi di 20 anni di dittatura scandita da slogan calcistici e puttanieri. Poi sono arrivate le mazzate, la Fornero e altre catastofi naturali e la gente ha capito. Forse. Oggi Renzi ci vende l'inglese spicciolo, quello alla Carlo Verdone o alla Totò (Dio mi scampi dall'ascoltarlo ancora parlare una qualsiasi lingua straniera!), tanto 'noi italiani ci facciamo capire sempre, no?' (mi ripeto: WTF*?!). Vedremo, Matte'. Intanto gli italiani vedono imprenditori, politiciputtanieri e banchieri parlottare inglese e stravedono per loro. Wow! Guardo una foca acciuffare al volo una pallina rossa... ah, no, per quello ho più ammirazione.
E io? Io, in tutto, questo, stimo la Costa (cercatevi il link della pubblicità per l'anno in corso su youtube.com, se non siete amanti della tv). Sì, nonostante il passato imbarazzante nemmeno tanto lontano, la Costa si merita la stima di una linguista. Lo spot ti invita a fare una pausa, non un break. A prendere un aperitivo, anziché un happy hour e via così, senza voler fare pubblicità a nessuno.
E finalmente! La lingua italiana è una delle più ricche e belle del mondo, e noi? La insozziamo infilando qua e là parolette straniere che fanno tanto cool.
A questo punto, non posso esimermi dal citare uno dei nostri maggiori dittatori nella storia d'Italia. No, non quello con tutte quelle reti televisive e tutti quei conti all'estero. L'altro! No, nemmeno quello di cui ancora non si legge il diario. Mussolini! Oh, ma un po' di attenzione, no?
Sì, lui. Il duce. In fondo, a lui piacevano l'ananasso, il fine settimana e via dicendo.
Parliamo italiano. No, purtroppo. Ma potremmo parlarlo tutti. E molto, molto meglio.
Le lingue straniere, gli scivoloni che passano per prestiti da altre culture e lingue lasciamoli ad altri. Ad esempio, a quelli come me, che se si incazzano, balbettano un misto di italiano e tedesco, che non è nessuno dei due, ma aiuta a sdrammatizzare, nel migliore dei casi. A tutti gli immigrati in Italia che, nello sforzo immane di parlar bene la nostra lingua, lasciano trasparire la loro cultura d'origine altrettanto bella, donandoci un sorriso per la creatività, per la spontaneità, per la novità.
Le lingue sono belle. E vanno rispettate. Non scimmiottate. Volete impararle? Allora, imparatele davvero!
Imparate l'arabo, il cinese, l'inglese, il tedesco o quello che vi pare. Ma imparate a parlare ciascuna di loro.
Voglio tornare a quando ero bambina e guardavo i tg con mio padre e chiedevo cosa potesse significare una determinata parola (parlo di termini quali guadare, aleatorio e simili). A quando ero adolescente ed Il Corriere della Sera parlava la lingua che imparavo a scuola, quella principale, ché l'inglese lo approfondivo con MTV la sera.
La mia è la generazione che ha vissuto il trapasso da una cultura nazionale ad una europea, e che fatica finanche definirsi europea, figuriamoci globalizzata.
Ma le lingue, per favore, lasciatele stare come sono. Imparate ad usarle bene. Tutto qua.

*WTF: what the fuck? Espressione di particolare meraviglia di fronte ad eventi e sim. cui non si riesce a dare una spiegazione che sia minimamente logica, usata in contesto culturale anglofono.


P.S. Il post di cui sopra è stato ispirato ad un'intervista concessa alla ex Ministra degli Esteri, Emma Bonino, alla BBC. L'Onorevole Bonino può non piacere politicamente, ma culturalmente è un esempio. Per tutti e tutte. Anche per i politici.

lunedì 22 dicembre 2014

India e dopo

Il bello di un viaggio è che ti concede numerose occasioni di riflessione. Come quando fai finta di guardarti intorno curioso, a 'fotografare' immagini che non vorresti mai perderti, mentre invece l'unico percorso che fai è quello interiore.
Ti viaggi dentro.
L'India è stato questo. Ashram, yoga, vegan, bikram, hatha e via, via scorrendo tutto lo scindere possibile ed immaginabile orientale passando per il Mahatma e richiamandosi nostalgicamente a Hermann Hesse. L'India è stata una sorpresa, ma di quelle vere. Un colpo. Forse una delusione. Il viaggio io non l'ho fatto sulle spiagge tra le mucche con gli altarini su cui poggiavano banane piccole, piccole per onorare i bovini sacri. Non l'ho neppure fatto nei templi di Lakshmi alla ricerca di ispirazione. E non ho comprato, alla fine, una statua dello Shiva danzante.
L'India è stato il mio contrario. Il contrario di tutto. Il contrario e basta. O, forse, è stata semplicemente l'India. O, forse, era Fa Da Ma. Lei tra le molecole di umido pesante come glassa bianca, la notte, che ti si appiccica ai capelli testarda. Lei negli ululati delle iene, perché non stanno solo in Africa. Ancora Fa Da Ma negli abbracci del mare, dove i pesci ti fanno sentire che non sei del posto, non è il tuo di posto. Ma dove sta, 'sto benedetto posto tuo?
Così l'India mi ha insegnato che il mio posto lo porto dentro all'anima. E non lo posso fotografare se non con le emozioni, solo mie. Non posso sentirlo se non nei momenti di maggior silenzio che, il Fato sia ringraziato, il mio compagno sa offrirmi con tanta semplicità e tanto amore.
E' stato in India che ho deciso di dare un'imbiancata di riflessioni, una tinteggiata di pensieri ed opinioni, una laccata di considerazioni sugli stereotipi. Perché a sbatterci il muso contro, nonostante le tante esperienze all'estero, e gli amici provenienti da ogni continente del mondo e gli studi sulle competenze interculturali e gli standard culturali, a sbatterci il muso contro dicevo, ti sorprendi. 
E l'India sa sorprenderti, ma in modo singolare. A chi mi chiede come sia stato, rispondo sempre che mi hanno colpito la povertà, l'estrema ingenuità e l'affettuosità della popolazione locale. A me stessa che vi ripensa dico che, dopotutto, è un viaggio che non rifarei. Perché l'ho fatto dentro, il viaggio. L'ho fatto con la mia rabbia, accompagnandomi di frustrazione e addormentandomi al sole con l'autocommiserazione.
Potevo starmene a casa? Forse. Ma l'India mi ha dato una scossa, forte. E mi ha insegnato ad augurare al mondo a fanculizzarsi, non solo di tanto in tanto, bensì molto, molto spesso.
E lo sto continuando quel viaggio. Non farò un reportage letterario su quanto visto: compratevi una bella guida della Lonely Planet e approfondirete l'argomento, insieme ad un po' di inglese. 
Io ho riflettuto su quanto si viaggi per arricchirsi umanamente, su quanto si pretenda di esser tutti aperti mentalmente, per poi avere difficoltà, soprattutto coi propri connazionali - finanche con i familiari - a comunicare. Ah, la comunicazione...
Paradossalmente, ho sentito più sintonia comunicativa con le scimmie colte di sfuggita nella giungla indiana di quanta ne abbia mai avuta di fatto coi miei connazionali, in tutta la mia vita.
Ripeto, non scriverò un reportage sull'India. Andateci, altrimenti ammazzatevi di Mojitos in qualche villaggetto a bella posta e tappatevi le orecchie, ché ad ascoltare bene il rumore che fa il mondo, che fa la gente intorno, si fa fatica.
Io sto usando il pretesto di questo viaggio per iniziare un nuovo percorso 'bloggatico' e dare spazio alle mie riflessioni sugli stereotipi, senza troppe pretese accademiche, bensì con semplicità, con la quotidianità. Un po' alla fabbiovolo, forse, ma forse anche questo potrebbe garantirmi maggior visibilità e che cazzo!
L'unico ingrediente che mi auguro non manchi mai, mai alle mie ricette pipponiche spero sia l'ironia. Quella non dovrebbe mancare mai. Ed un pizzico di sarcasmo, quello è figo, dai!

lunedì 14 luglio 2014

Wunderliche Fata

Stasera esco. 
Esco dai tanti nomi, esco dalle rime. Fuori da personaggi fittizi, a tratti verosimili, ma mai me. 
Facevo una riflessione su come si cambi idea, qualora si abbia lo fortuna (o intelligenza?) di farlo. E nel particolare pensavo all'idea che molte persone hanno di me. Alcune le incontri dopo aaaaaanni, e ti dicono 'cacchio, sei sempre la stessa' e tu stai lì in slow motion con la tua espessione di ebete a pensare 'cacchio, ero davvero così? Pensavo peggio!'. Altre invece ti fanno 'sei davvero cambiata. Ora mi piaci di più', e tu, senza titubanza, pensi 'mica mi ha mai interessato piacerti...'.
Poi ci sono gli ex, quelli davvero importanti, quelli che incontri dopo anni, quelli che ti guardano con lo sguardo del cucciolo buono. Inclinano la testa un po' sulla sinistra, tirano un sorrisino di quelli burro e panna, tipo crema chantilly, e ti dicono 'sei proprio tu, sempre così'. E là ti fermi davvero, esci dalla scena, ti siedi accanto al regista di 'sta storia un po' a cazzo, gli chiedi 'na sigaretta - tu manco fumi, ma fa niente, ora ci sta. E 'fanculo. 
Dicevo, ti piazzi 'sta miscela di tabacco, nicotina e altre schifezze anti-yoga, te l'accendi - di traverso, fa tanto Hollywood! E gli chiedi, sì, proprio a 'st'imbalsamato del regista, chiedi: "allora, fammi capi' bbene 'sta cosa. E' la mia vita, e si suppone che le cose filino quanto meno nella direzione che avrei (il condizionale è d'obbligo) scelto. Poi, si sa, le sorprese arrivano sempre, ma fammi capi': ma mo, 'sto pinguino succhia-sangue del mio ex che c'azzecca? Non tanto per fare la solita precisina, rompiballe, contestatrice della mia minchia, ma potrò anche dire la mia ogni tanto, no?", ma così, con non-chalance, calma, perché tanto la sigaretta fa il suo. 
Ti volti, e ti ritrovi 'sto vecchietto arzillo, minuto, con la barbetta di quattro pelucchietti elettrizzati che non proferisce parola.
Silenzio.
E ti fissa, coi suoi occhi da topolino, alla cinese, ma più aperti, nerineri che ti ci specchi. Non pronuncia un solo suono.
Lo riguardi. Anche lui ha fatto il suo.
Con la camminata effetto Valium torni sulla scena e ripercorri le corse in bicicletta nel bosco, le risate da bambina felice, quelle biciclette sempre un po' arrugginite, come la crisi del mercato, ma a noi che ci frega se ci amiamo tanto. E si corre su due ruote d'amore e gioventù. Ti lasci scivolare lungo quelle dita che giocavano con i tuoi boccoli color nocciola e che ti irritavano, quando scompigliavano l'apparenza di una pettinatura ordinata. Stai sciogliendo i ricordi all'eco di quella voce che ti addormentava, di notte. Prima degli esami, prima di un colloquio, prima di una visita medica. Prima di far ritorno a casa dei tuoi, dove l'inferno ti aspettava con le fauci salivanti di zolfo. Cazzo, risenti quella voce che non hai dimenticato mai. Accarezzi senza mani quelle braccia che ti tenevano, vuoi essere sicura che stia lì, davanti a te. Non credi che ti stia riconoscendo anche lui. No, la vita a volte è un fato fantastico.
Poi sai d'impeto che non è così. E ti svegli da un sogno senza odore. Svuoti la vescica, ed inizia il giorno. E pensi che non ricordi neppure l'idea che avevi di molte persone, che ti piace sorprenderti a cambiarla, dopo anni di separazione. E ti piace cambiare l'idea che hai di te. Per ogni persona, nel tempo, nello spazio. Dove eravamo?
Ah, stasera esco.

martedì 21 gennaio 2014

Di scatole e melodie.

... poi i suoi sensi furono guidati da quella melodia che tanto conosceva. La conosceva bene. E sapeva che era ora, adesso, definitivamente. Allora sapeva, ed il suo cuore annuiva leggero, che era tempo di chiudere la scatola. L'avrebbe chiusa forte, forte. E sorrideva al suo cuore, complice. Era libera. Mentre archi e viole facevano ghirlande ai pensieri rinnovati.

lunedì 9 dicembre 2013

Di schegge e d'amore.

Mi sei entrato in bocca come schegge di vetro, graffiando via dolore e gioia, grattando il fondo che rimaneva. Lasciando solo il rosso vellutato del sangue mio. Solo, liquido, caldo, denso, solo.

mercoledì 20 novembre 2013

Di bocca e d'autunno

La sua bocca fumava l'aria fredda di novembre, mentre con pollice ed indice delle mani correva sulla tastiera di un cellulare che non significava poi tanto nella sua vita, se non controllo, ricercafugainganno, segreti. Chiamate evitate. Altre non fatte.
La sua bocca fumava, e quel freddo sapeva di un amore vecchio 10 anni, di cui riusciva ancora a seguire la scia tra i ricordi e le lacrime.
Quella bocca fumava e chiamava, nella memoria chiamava il suo nome. Un nome che, neanche a farlo apposta, aveva ritrovato tra le righe di un romanzo che amava, che le risuonava dentro come un'eco familiare. Troppo familiare.
Quella bocca fumava un nome nuovo, adesso, ed ancora non l'articolava bene. Ancora non suonava chiaro, quel nome. Ancora non lo sentiva bene. L'arpa dell'anima ancora non vibrava, eppure quel nome nuovo ondeggiava tra la punta della lingua, il palato ed i denti superiori - e sapeva di dolce.
La sua bocca fingeva, a volte, di pronunciarlo per la prima volta. Poi si fermava quasi a voler esercitare ancora una volta quello vecchio, quello familiare, quello amato. Ma temeva di perdersi davvero per sempre in esso. E non poteva, non poteva più.
Avvolta nel fumo del gelo autunnale, la sua bocca avrebbe cantato la neve che sarebbe caduta, presto, seppellendo tutto. Seppellendo i ricordi. Seppellendo le grida. Seppellendo quel nome. Seppellendo il silenzio. Cade la nevea volteeseppellisce. Cancella via tutto col suo manto candido. E tutto assume un nuovo aspetto.
Quella sua bocca avrebbe cantato la libertà sullo specchio di ghiaccio dell'inverno alle porte, e rivestito di un colore puro il suo futuro. La sua di bocca, quella stessa bocca perfetta, desiderava sorridere di nuovo. Senza dover chiamare. Senza rispondere. Solo sorridere, svelando timidi denti ai raggi del sole invernale. Sorridere solo. Sorridere sola.

venerdì 1 novembre 2013

Di artigli e di fuoco

Nonpotevafermarsinonvolevanononancora. Poi fu la pausa. Ed il ricordo, che straziava la pace della mente. Quella finta pace cercata nella dimenticanza. E sorrise. Sorrise al dolore, sorrise al ricordo. E si riscoprì rinata. Di nuovo. Testardamente. Con artigli rosso fuoco rinacque dalle ceneri scrollandole dalle spalle, e con passo deciso andò per la sua strada.

mercoledì 16 ottobre 2013

Traumi e saluti

Il saluto ai propri traumi ha un nome tutto suo. E' un nome che non si può dire. Sono traumi che si raccontano, ma non sono mai ascoltati . E' un saluto che nessuno, nessuno riesce a sentire. E fa rumore, molto rumore.

mercoledì 18 settembre 2013

Jockér

E tu te piense
che cu' 'sta maschera
fai rire a tutti quanti,
che ffaije paura?
Spuogliete, e vattenne.
Vattenne a casa
e nun turna'.

giovedì 12 settembre 2013

Life and thoughts/La vie et la pensée

Still life rolls out.
Like toilet paper
in the wind.

Cependent la vie s'étale.
Comme papier toilette
dans l'air.

mercoledì 11 settembre 2013

Sul significato delle cose

FICTION - Per fiction (termine inglese, letteralmente in italiano "finzione", dal latino fingere, "formare", "creare") si intende la narrazione di eventi immaginari, in netto contrasto con la narrazione di eventi reali.
Una larga parte dell'attrattiva della fiction è l'abilità di evocare l'intero spettro delle emozioni umane: per distrarre la mente, dare la speranza in momenti di sconforto, far ridere, o lasciare esperienze empatiche senza attaccamento [n.d.r. attenzione!!]. Le fiction – nelle forme narrative di romanzi, racconti, novelle, favole, fiabe, film, fiction televisive, fumetti, cartoni animati, videogiochi [n.d.r. wewe! Anche blog!] – possono essere in parte basate su fatti reali, ma contengono sempre elementi immaginari [n.d.r. vedi nota precedente]. [...]
Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Fiction

Sperando possa esser d'aiuto. Amen.